"Palla".
Il piccolo stava sulla soglia della stanza senza trovare il coraggio di entrare.
La sua palla era rotolata troppo in fretta e lui non era riuscito a fermarla prima che venisse inghiottita dal buio della camera. Anche se aveva appena quattro anni, si rendeva conto che la sua palla non sarebbe potuta rotolare da sola fuori dalla stanza, ma aveva paura ad entrare per riprenderla.
Sentì una goccia di sudore corrergli lungo la schiena. Intuiva che non sarebbe accaduto nulla però volle riprovare e con voce meno esitante ripeté: “palla”.
Il bambino ebbe un sussulto. Aveva avuto l'impressione di essere stato chiamato da molto lontano.
Riprovò. “Palla”. Questa volta fu più deciso.
“Marco”. Anche la voce fu più decisa. Questa volta fu certo di averla sentita.
Qualcuno lo aveva chiamato dalla stanza buia.
Decise di cambiare gioco. Si girò per correre via ma si paralizzò sentendo urlare il suo nome “MARCO”.
La sensazione di calore che la sua stessa pipì gli fece avvertire contrastava con il gelo che provava nel resto del corpo. Non riusciva a muoversi, era congelato. Sentiva le gocce di pipì scendergli lungo le gambe.
Provò a gridare, ma non riuscì ad emettere un solo suono. Sentì invece un leggero fruscio provenire dal buio, ed era troppo spaventato per capire da cosa fosse originato.
Ebbe un altro sussulto, qualcosa gli stava toccando i piedi. Raccolse tutto il suo coraggio e si girò.
Ai suoi piedi, proprio nella pozza di liquido paglierino che non era stato in grado di trattenere, c'era una palla nera.
La guardò con sospetto e paura: quella non era la sua palla. La sua era bianca.
Il suo sguardo fu catturato da una scritta. La guardò con più attenzione e si stupì nel riconoscerla: quella scritta bianca era la stessa che c'era sulla sua palla, cambiava solo il colore. Sulla sua palla la scritta era nera e spiccava sul bianco della superficie, l'aveva fatta suo padre con un pennarello scrivendo il suo nome, Marco.
Sentì il cuore battergli all'impazzata, il fiato gli si fece affannoso mentre il buio lo avviluppò come una morsa. Sentì un urlo.
La porta si aprì e la luce si accese. Il buio era dissolto. Suo padre entrò nella sua camera.
Fu tutto chiaro: aveva avuto un incubo e suo padre lo aveva sentito urlare.
Adesso poteva stare tranquillo, la sua palla bianca non era mai rotolata in una stanza buia. Si lasciò cullare e senza accorgersene si riaddormentò.
Suo padre gli rimboccò le coperte e si assicurò che stesso dormendo. Poteva tornarsene a letto. Si chiese quale terribile incubo avesse agitato il sonno del suo bambino, poiché mentre lo cullava continuava a sentirgli ripetere “palla, palla”.
Un pensiero gli balenò nella mente. Uscendo dalla camera di Marco aveva visto una palla. Ma ripensandoci suo figlio aveva solo una palla ed era di colore bianco, quella che aveva appena visto era nera. Chissà, forse si era sbagliato. Sicuramente era stato un gioco di ombre a fargli sembrare la palla nera. Decise di non pensarci più.
Stava per riaddormentarsi quando, per la seconda volta quella sera, si sentì raggelare.
Marco aveva urlato di nuovo. Con uno strano presentimento si precipitò da suo figlio.
Aprì la porta e riaccese la luce. Il letto era vuoto.
Si guardò intorno. Non c'era traccia di suo figlio e non c'era più neanche la palla nera che aveva visto pochi minuti prima.