Le religioni sono come le lucciole,
per splendere hanno bisogno delle tenebre.
A. Schopenhauer
Raggiunsi il luogo dell’appuntamento con la mia lambretta, in perfetto orario. I raggi tiepidi del dolce mattino filtravano fitti, tra l’inconsistente nebbiolina che si stagliava rasoterra e la verdeggiante pianura circostante. Il tragitto attraverso quelle placide colline senesi aveva narcotizzato i miei sensi, che si ridestarono insieme a tutti i miei dubbi, alla vista della vecchia cascina.
Ero stato inviato qui, a svolgere un’intervista, direttamente dal direttore del quotidiano presso cui lavoravo. Bazzicavo in redazione da poco e, sebbene avessi svolto già un bel po’ di praticantato, ancora nessuno mi aveva dato fiducia assegnandomi un incarico importante: quando mi assegnarono questo articolo feci un vero e proprio rito di esultanza!
Mezz’ora dopo, raggiunsi il lato opposto dello spettro delle emozioni. Mi avevano comunicato le condizioni da rispettare per l’intervista:
1. dovevo svolgere l’intervista da solo;
2. niente apparecchiature di registrazione audiovisiva (solo matita e taccuino, intervista vecchio stampo);
3. e, la cosa che mi sconvolse di più, dovevo restare completamente all’oscuro riguardo l’uomo da incontrare. Mi era consentito sapere solo che si chiamasse Lucio Ferri.
Una buona intervista si svolge un po’ come una partita a dama: risulta molto semplice se sei un bravo giocatore, tuttavia studiare l’avversario e preparare una strategia efficace ti aiuta tantissimo prima della gara; io invece stavo per muovere la mia prima pedina e ancora ero indeciso se lasciare a lui la prima mossa e studiarlo o attaccare a capo chino cercando di imporre le mie regole con un gioco irruente e aggressivo.
La porta si aprì e un uomo alto, agile ed elegante comparve sull’uscio.
– Signor Ferri? – domandai e lui, tendendomi la mano rispose -Precisamente! E lei deve essere il giornalista de “Il Mattino”. Prego si accomodi. –
Con un sorriso enigmatico che spuntava dal pizzetto brizzolato mi portò in un piccolo studio che sembrava un’officina e lungo il corridoio si complimentò per la puntualità.
Tappò per bene i tubetti di colore che aveva lasciato aperti per venire ad aprire, e mentre li poggiava vicino agli altri la mia attenzione si posò sulla splendida miniatura riprodotta sul tavolo al centro della stanza.
– Cosa ne pensa? – mi domandò.
– È il giardino dell’Eden. – risposi io prontamente. Era la scena del peccato originale, quella che tutti nella propria vita hanno visto o immaginato come minimo un migliaio di volte. Quell’affresco poi, con le miniature colorate e lavorate a mano, sembrava quasi muoversi come la pellicola di un film. – È la storia del serpente che tentò Eva e Adamo a mangiare la mela proibita da Dio, che doveva procurar loro la morte e che invece scatenò la loro cacciata dal Paradiso. –
– Non era una mela ma un frutto proibito e non avrebbe procurato loro la morte ma simbolicamente avrebbe donato loro la conoscenza. – mi disse con tono di predica.
– Anche il serpente era un simulacro rappresentante il Diavolo, che tentò gli uomini e li fece disubbidire a Dio. – risposi io a tono.
Sorrise. – Ti sei mai chiesto qual’era il vero fine del serpente? –
– Ingannare l’uomo e vendicarsi con Dio? – per un attimo mi resi conto che erano gli anni di indottrinamento a parlare per me.
– Secondo me, non proprio. Immagina per un attimo di stare lì. Ci sono un uomo e una donna soli e circondati da un mondo che ignorano, appena venuti alla luce. Non comprendono il loro mondo e il senso della loro vita perché non hanno la capacità di poter fare quelle fini intuizioni che ci hanno fatto progredire fino ad oggi. C’è un frutto che, come abbiamo già detto, rappresenta la conoscenza, la possibilità di capire come stanno le cose, lo strumento per poter scegliere liberamente. E poi ci sei tu, che osservi queste cose e hai la possibilità di agire. Che avresti fatto? –
Restai per un momento spiazzato dal capovolgimento di prospettiva. Poi con calma risposi: – Se la situazione fosse stata proprio come l’hai descritta tu, anche io avrei loro consigliato di mangiare il frutto proibito. –
– Esattamente! – disse. – Io ho sempre creduto che il senso dell’uomo, della sua vita sulla Terra fosse quello di conoscere. La prima domanda che impariamo da piccoli è “Perché?” e privarci della conoscenza sarebbe come violentare il nostro spirito, rivoltare come un guanto i nostri più grandi sogni, ammazzare a sangue freddo il nostro desiderio più inconscio… –
Improvvisamente smise di parlare. Ripose due scatole su una mensola e si scusò per avermi tediato con la sua visione. – Andiamo a rilasciare questa intervista! – mi disse sorridendo. Fece segno di uscire dalla stanza mentre posizionava nello scenario una statuetta, non ancora colorata, di un uomo nell’atto di consigliare Eva e Adamo: una riproduzione vagamente somigliante al suo creatore.
Lo seguii su per le scale al piano di sopra raggiungendo una stanza piuttosto spaziosa, con una grande vetrata nascosta da tende raffinate e delicate.
Mi accomodai su un salotto morbido e confortevole situato al centro della stanza. Il signor Ferri mi porse liquore e biscotti che aveva già preparato e posizionato su un basso tavolino di vetro e poi, con scatto felino raggiunse la finestra. Sospirai profondamente: stavo pensando alla prima domanda da porgergli mentre osservavo i suoi movimenti; sembrava tranquillo e sereno a differenza mia che ero ancora un po’ teso e a disagio.
Spalancò le tende e per un attimo restai a bocca aperta: il paesaggio che mi si stagliava davanti era uno smeraldino mare di viti illuminate dal sole, uno scenario che spaziava fino all’orizzonte. Il bagliore verde pastello che irruppe dalla vetrata rischiarò un enorme dipinto situato sul lato opposto della stanza, una gigantografia di Venere, il pianeta più vicino alla Terra, che brillava con tutta la sua intensità grazie ad una miscela di colori davvero appropriata.
Il signor Ferri, che nel frattempo si era accomodato al mio fianco, disse: – Possiamo cominciare se vuoi. –
Il momento era giunto, così decisi di attaccare.
Preparai taccuino e matita e iniziai: – Signor Ferri, lei ha deciso di rilasciare questa intervista, ma ha chiesto espressamente di non voler più di un operatore; inoltre non ha acconsentito all’uso di strumenti di registrazione audiovisivi e addirittura ha richiesto che il giornalista non sapesse nulla di lei. È consapevole del fatto che con queste richieste io non posso garantirle un’intervista professionale? –
– Si – rispose senza scomodarsi, al che io continuai – Benissimo. Risponda prima alle prossime due domande e poi mi dirà ciò che vuole che la gente sappia da questa intervista. – Mi resi conto che il mio tono era un decibel più alto a causa dell’ansia generata dal non poter controllare la situazione. Cercando di non farle sembrare una minaccia, con modi più professionali domandai: – Chi è lei? E perché ha richiesto questa modalità di intervista? –
– Mi scuso per aver posto richieste scomode – disse pacatamente, quasi a volersi scusare con me come uomo e non come giornalista, – ma la verità è che volevo un’intervista imparziale. Sono… – si fermò un attimo e si carezzò la barba mentre cercava le parole giuste – Considerami un esiliato politico, mettiamola così. Sono stato bandito dalla mia terra, allontanato dai miei amici, dai miei simili e costretto a vagare in giro per il mondo. Non che non mi piaccia vivere qui, anzi! Quando mi dissero che sarei stato all’Inferno per il resto dei miei giorni, non avevo idea di cosa fosse un Inferno. Tuttavia qui ci vive un mucchio di persone e non si sta così male, non trovi? –
– Quindi lo scopo di questa intervista è colpire chi l’ha esiliato, facendogli sapere che qui in Italia se la passa bene. – incalzai io senza lasciargli spazio di manovra.
– Son sicuro che già sa come me la passo – replicò. – Non gli sfugge nulla. Ha anche detto che alla fine redimerà il mio buon nome e la mia anima. Ma fino ad allora continuerà a considerarmi la sua nemesi, il nemico da cui scappare lontano, verso le sue braccia e la sua protezione. –
– Da come ho capito, quindi, ti ha messo contro tutti: più ti rendeva pericoloso e oscuro e più dimostrava la sua grandezza. Perché allora non si è sottratto a questo gioco perverso? –
– La storia la fanno i vincitori – sospirò. – Non c’è possibilità di riscatto per i vinti. Da giovane l’ho sfidato a viso aperto e ho sbagliato. Ho perso tutto. Sono stato impulsivo e ho peccato d’orgoglio e ancora oggi pago per quell’errore. –
– Di preciso cosa è avvenuto? –
– Tutto quello che volevo io era essere come lui. Per me era perfetto, era bellissimo e ho lottato con tutto me stesso per avvicinarmi a lui. D’altronde da giovani quasi tutti considerano così il proprio padre e in un modo o nell’altro tendiamo tutti ad identificarci con lui. –
Restai immobile. Smisi anche di scrivere sul taccuino. Con tanta intensità mi aveva rivelato che la persona che lo odiava di più al mondo era il padre e questa notizia mi aveva spiazzato. Stavo cercando di formulare un’altra domanda quando spontaneamente riprese il discorso.
– Non so quanto avesse previsto la cosa. Lui dice di sapere tutto e di sicuro la mia figura di ribelle faceva parte di un suo disegno più grande. Punirmi e rinnegarmi gli ha procurato non pochi vantaggi, ma tutto ciò mi ha anche reso libero. Mi ha sottratto al giogo dell’autocompiacimento, del volerlo assecondare ad ogni costo: mi ha reso libero di scegliere… –
Per un attimo vidi spegnersi i suoi occhi, rapiti da ricordi passati. Ne approfittai per domandare: – Da come ne parli, si sente che questa storia ti fa male e che, non so se posso azzardare, sei pentito di quanto è successo, ma considera che io non so nulla di te e quindi dovresti essere più preciso in merito. Contro chi combatti e perché sei stato allontanato? –
– Combatto contro un ruolo che mi è stato appiccicato addosso, che mi hanno affibbiato e che non ho mai chiesto o voluto. Un’etichetta sbagliata può far più male di una coltellata. – Ci fu un attimo di silenzio, dopodichè si impettì di nuovo e un pizzico di orgoglio si fece strada tra i suoi lineamenti. – Tutti hanno paura di me. Anche tu ne avresti se sapessi chi sono per davvero… –
– Prima di giungere qui, non curandomi della sua richiesta, ho fatto delle ricerche sul suo conto. Perfino Google non mi ha dato nessuna informazione. Non capisco come fa a dire che tutti la temono e la odiano. Per quel che ne so, Lucio Ferri è solo una persona come tante, un po’ eccentrico, se me lo permette, da quanto mi sta a raccontare. –
– Se ti dicessi il mio vero nome – mi interruppe lui – scatterebbe in te uno stereotipo così forte da farti fuggire a gambe levate il più lontano possibile da questa casa, credimi! – Ma ormai ci sono abituato e non mi fa più male. Sono molti anni che non combatto più per questa battaglia. Ora porto avanti una missione: la mia missione. Offro alle persone la possibilità di realizzare il loro più grande desiderio, il loro più grande sogno, perché tutti hanno un sogno per cui continuare a vivere. In passato nell’agire sono stato…diciamo più teatrale, ma la gente non si fida più, e io attualmente mi limito a fare del bene a modo mio, indirettamente o di nascosto. Il nostro nome è ciò che siamo, ci identifica e ci distingue e io voglio riabilitarlo da solo. Voglio arrivare alla fine e a testa alta dire: Questo sono io! E anche se oggi c’è chi usa il mio nome come ricettacolo per proiettare i propri orrori e la propria cattiveria, addossandomi la colpa di tutti i loro mali, io continuerò ad andare avanti per la mia strada, facendomi forza sulla riconoscenza della gente che mi ha apprezzato! –
L’enfasi e la determinazione con cui pronunciò queste parole smorzarono il mio atteggiamento inquisitorio. Conclusi l’intervista con alcune domande formali, dopodichè ci salutammo cordialmente e mi allontanai su per le colline con la mia vecchia lambretta bianca.
Per la strada pensai che questa fosse la sua versione dei fatti, ma per poter giudicare dovevo ancora ascoltare l’altra campana. Purtroppo era stato troppo generico e vago e anche riguardo la sua missione, mi erano sembrate solo belle parole, un po’ come le promesse di alcuni politici. Tuttavia c’era qualcosa nei suoi occhi che non mi aveva del tutto convinto e così dimenticai volontariamente la giacca sul divano per poter ritornare in veste non ufficiale il giorno dopo e cercare di carpire altri indizi.
La mattina seguente con mia grande sorpresa fui accolto da due vecchietti, il signor e la signora Negrini. Mi presentai e dissi loro che ero venuto a riprendere la giacca. Mi dissero di non saper nulla: avevano acquistato la cascina e da ieri pomeriggio si erano insidiati diventando i proprietari effettivi della tenuta.
Mi fecero accomodare nella stanza ormai familiare e mi offrirono té e biscottini. Erano ancora euforici per l’acquisto. La signora Negrini, visibilmente emozionata, lasciò raccontare al marito di come avevano concluso l’affare: era sempre stato il loro sogno fin da giovanissimi, ma l’impennata dei prezzi degli immobili e il moltiplicarsi della loro età, li aveva fatto desistere fino a che non si presentò quell’uomo che letteralmente li aveva tentati con un’offerta che non potevano rifiutare. Per una cifra davvero irrisoria avevano acquistato l’intera tenuta sotto gli occhi ancora increduli degli agenti immobiliari che bazzicavano per la zona.
Avevano trovato il loro angolo di paradiso, dopo tanti anni di sofferenza e lavoro, e anche se i problemi certamente non sarebbero mancati, si sarebbero goduti questa gioia fino alla fine dei loro giorni.
Ancora sorpreso dallo sviluppo dei fatti, chiesi di Lucio Ferri e del suo nuovo recapito.
– Lucio Ferri? – domandò l’anziana signora. – Lucy Fère vorrai dire. – Rise mentre volgeva lo sguardo verso il marito. – È a lui che abbiamo intestato l’assegno ed è lui che ringrazieremo per sempre! –
– Un vero signore – replicò il marito. – Ha anche lasciato tutti i mobili, ad eccezion fatta di un quadro che era attaccato a quella parete. Ha detto che per lui significava moltissimo. –
Nella mia testa riuscii a incastrare l’ultimo pezzo. Lucy Fère… il dipinto di Venere… il giardino dell’Eden… che gran figlio di…! Tutto mi fu più chiaro.
Sono trascorsi diversi anni da quel giorno e io son diventato uno scrittore di successo grazie alla pubblicazione di un racconto che in principio doveva essere un’intervista. Pensai che un’intervista si sarebbe persa nel tempo, mentre un buon racconto sarebbe stato trascritto nei secoli a venire e chissà cosa ne sarebbe scaturito. Era la sua versione dei fatti e glielo dovevo.
La cosa più divertente di tutta questa storia è che il mio più grande desiderio, da che ero bambino, era raggiungere la fama come scrittore. Nutro ancora un grande rispetto per quell’uomo: ricordo ancora il suo orgoglio e quanto era pieno di sé quando mi accolse in casa sua e cambiò la mia vita per sempre.
Questo è per te amico. Ovunque tu sia, in bocca al lupo.
Fine