Le sue braccia avvolgevano con forza il fragile fagotto.
Sentiva il suo calore ed il singolare odore che solo un neonato emana.
Non poteva fermarsi... sapeva di non poterlo fare, ma la frustrazione per l’impotenza di quegli attimi era talmente insopportabile che dentro di se cercava sempre un appiglio per ribellarsi…inutile, come sempre.
Il neonato non si ribellava neanche: non era possibile capire se tra il calore del seno materno le sue sottili labbra emanavano qualche gemito.
E si spense…e lei seppe che si spense e si sentì per la prima volta libera dalla sua atavica prigione, ma schiava di nuove pareti interiori.
Sapeva che questa nuova schiavitù non le sarebbe stata tollerabile e, con una calma che la lasciò disorientata, poggiò il corpo esanime del bambino nella culla, lasciò scivolare la vestaglia sul pavimento, indossò i primi abiti che le capitarono sotto mano, raccolse le chiavi della macchina ed uscì di casa.
Dopo solo pochi minuti di strada, lasciò l’automobile in una via poco trafficata del paese dove viveva.
Camminando verso il ponte ogni suo passò risuonò nitido nel suo vuoto interiore, come un eco proveniente da una caverna nei sotterranei abissi del suo essere.
Si poggiò sul muretto del ponte e guardò verso il basso: il verde e la terra erano squarciati dalle rotaie di una vecchia ferrovia.
Un altro tentativo disperato di ribellione fu inutile e l’esile corpo della donna si lanciò verso l’eterno sonno.
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Il sudore grondava dalla sua fronte. Era gelida e un urlo riecheggiava nella sua testa.
Sconvolta si alzò dal letto e si recò in bagno gettando d’impulso la sua testa sotto l’acqua del rubinetto.
Era inverno e faceva freddo, ma l’acqua gelida che scorreva sui suoi capelli appariva tiepida sotto il gelo dei suoi pensieri.
“Un altro di quei sogni” pensò e pianse, pianse in silenzio perché sapeva che i suoi sogni erano maledetti e non si limitavano a restare tali.
Aveva perso il conto di quante volte sogni come quello, a distanza di giorni, diventavano cruda realtà…aveva soffocato ogni istinto di ribellione dopo che aveva scoperto che raccontare della sua maledizione allontanava da lei le persone che amava, perché incredule o troppo spaventate per accettarla.
Cercò di scacciare via le brutte sensazioni rimastele addosso, ma era impossibile: due vite da lì a poco si sarebbero spente e lei lo sapeva ed ogni volta la domanda che si poneva era la stessa: “posso fare qualcosa per impedirlo?”.
Compì i suoi riti mattutini fingendo che tutto fosse normale e si soffermò davanti l’uscio di casa.
Come ogni volta, si sentì di fronte ad un bivio: poteva scegliere se recarsi al lavoro ed attendere di apprendere dal telegiornale che i fatti si erano manifestati esattamente come Sogno le aveva mostrato o cercare di trovare un modo per interferire con un Destino da un libro apparentemente già scritto.
Osservò la porta, smise di tremare, fermamente abbassò la maniglia e perseguì la strada che aveva scelto.