C’è un uomo in mezzo alla strada. È in piedi, tra le due corsie, testa bassa, non si muove. Porta abiti qualsiasi, presi a caso dall’armadio, senza particolari abbinamenti di colore. Una maglia, un paio di jeans tenuti fissi alla vita con una cintura nera, un paio di scarpe. Rimane immobile, aspettando che quello che desidera accada.
Desidera che arrivi un’automobile a tutta velocità, a nulla serviranno i freni, lui verrà colpito, farà un volo (oh sì, volerà), respirerà aria migliore, poi comincerà a scendere, si schianterà contro il parabrezza, qualche vetro s’incastrerà nelle sue carni, rotolerà sul prato metallico, poi toccherà il suolo e bagnerà l’asfalto di sangue e saliva e fluidi vitali.
Desidera che passi un ciclista, che lo noti, che si fermi e chieda: “Ehi, lei! Che ci fa lì in mezzo alla strada? È pericoloso. Mi dia retta, si sposti”. Bel pensiero, pensa, ma non si sposterà.
Desidera semplicemente di desiderare. E mille mila pensieri e possibilità e vite salvate e amori perduti e profumi di una vita conclusa e mai cominciata.
Sente il rumore di un’auto. Peccato, avrebbe preferito il ciclista. Qualche secondo ancora all’impatto, alla fine, al nuovo inizio. L’uomo chiude gli occhi e respira a pieni polmoni. Gli piace questa strada di montagna, c’è aria fresca, c’è il mondo ancora verde. Una leggera brezza gli scompiglia i capelli, l’uomo apre le braccia, come se volesse abbracciare questo istante. Oh, quante volte ha desiderato di abbracciare un istante o un altro lasso di tempo perduto. C’era il giorno con lei. L’aria si colorò del suo profumo e lui inspirò profondamente la sua essenza e il suo ricordo. Lui e lei e nessun’altro intorno.
“Sono qui, piccola” dice l’uomo, mentre l’asfalto si illumina e l’ombra di un uomo in mezzo alla strada si espande verticalmente. L’uomo la vede e pensa “Eccola, l’ombra di un perdente”.
Rumore di freni e di pneumatici striscianti lungo l’asfalto. L’uomo chiude gli occhi e si prepara a volare.
Lei aveva degli occhi bellissimi. Fu questa la prima cosa che gli balenò nella mente alla velocità di un battito cardiaco. E quel pensiero riempì totalmente il suo vuoto mentale. Con uno sguardo il tempo rallentò. Poi tutto tornò alla velocità della luce. Lei si presentò a lui:
“Io sono…” e disse il suo nome, porgendogli la mano. Lui gliela strinse e, mentre si presentava, desiderava non lasciarla mai più. Sapeva bene cos’era quell’atteggiamento, quel battito forte in mezzo al petto, quello sguardo. Era innamorato e tutto era successo nel modo più magico e fiabesco possibile. Si aspettava qualche raggio di sole, ora, qualche uccellino che, cinguettando, sarebbe entrato dalla finestra. Tutto per coronare ed incorniciare quel momento troppo speciale, la cornice perfetta per un quadro di rara bellezza, un’opera da mostrare in tutti i musei del mondo. Le mani si staccarono.
E lei aveva davvero degli occhi bellissimi.
Era andato a pranzo con lei qualche giorno dopo. Erano state due ore divertenti, non si ricordava potesse essere così strano essere innamorati. Oh sì, per lei avrebbe lottato contro lo stesso Destino perché si appartenevano l’un l’altro e nulla li avrebbe divisi. Il suo cuore parlava una lingua straniera ma facilmente comprensibile e lui l’ascoltava e si diceva che era la volta buona, oh sì, la mia vita ha senso ora, vivo per lei, è l’unica persona adatta per me. Io lo voglio, il Destino stesso lo vuole. Ma il Tempo, oh, il Tempo non è ancora pronto, l’ora non giunge e quanto dovrò aspettare ancora, quanto dovrò sopportare sguardi e gesti e tocchi e conversazioni e bugie e menzogne e parole dette a caso, timide, per non ferire, per non esporsi troppo.. Solo perché il tuo cuore parla una lingua, non vuol dire che anche il suo cuore stia parlando la stessa lingua.
“Devi rischiare, bambino. Altrimenti è persa per sempre”. A volte parlava da solo. Non era schizofrenia, ma tentativi di autoconvinzione. Si era dimenticato anche quest’ultimo aspetto dell’amore: la follia, l’indecisione, i mille problemi quotidiani, le paranoie comportamentali.
“Non posso rischiare. Non sono ancora sicuro”
“Non si è mai sicuri di niente, né del passato, né tantomeno del futuro”
“Ho già poco con me, non voglio perdere quel poco d’importante che ho”
“Se è davvero qualcosa d’importante non la perderai. Magari i vostri due cuori non parlano la stessa lingua, ma sono confinanti”
“Non sono sicuro di me stesso”
“No, non lo sei”
“Non so prendere una decisione giusta”
“No, non sei capace”
“Non ho il coraggio di rischiare”
“Sbagli, bambino. Se non rischi non vivi”
“Ho paura”
“E’ giusto averla”
“Cosa dovrei fare?”
“Ascoltarti”
Una notte, una strega gli fece visita in sogno. A dispetto di quello che si possa credere, questa strega assomigliava di più ad una fata che ad una vecchia decrepita. Aveva un vestito nero, lungo, ma elegante. Il suo viso era bello, pallido, senza accenni di rughe, perfetto come la pelle di un neonato e, volendo fare del macabro, forse era fatta veramente con la pelle di neonati.
Lui aveva paura, una paura fottuta, anche se sapeva che era in un sogno.
“Ciao bambino” disse la strega.
“Non sono un bambino” rispose lui.
“Ma certo che lo sei. Vuoi vivere sempre con le paure e la codardia. Sei un codardo che non vuole prendersi le proprie responsabilità e provare a migliorare, a fare quel salto di qualità che desideri da quanto tempo?”
Non rispose. La strega continuò:
“Vuoi rimanere un bambino”
Lui deglutì. La strega aveva ragione.
“Allora,” disse la strega “vogliamo crescere?”
Rimase a fissarla e si accorse che la strega aveva gli stessi occhi della ragazza.
“Voglio crescere” rispose, ammaliato.
La strega schioccò le dita e il nulla intorno a loro si fece vorticosamente colorato, ultrarapido, scie di stelle cadenti color arcobaleno, luci flash laser nuvole e lampi di pittura.
“Cosa sta succedendo?” chiese. La strega rispose:
“Stai crescendo. Questo vuol dire essere colpiti da una maledizione”
Il ragazzo urlò e lottò per uscire da quel sogno che era diventato un incubo.
“NON ME L’AVEVI DETTO!!”
La strega sorrise:
“E’ il prezzo da pagare, mio caro. Nulla di tragico, succede a tutti”
“Cosa sta succedendo?” ripetè.
“Sto estraendo i desideri dal tuo cuore. Sei in un certo senso immortale. Non è un pregio, però. La tua è una maledizione: morirai e morirai e morirai, ma fisicamente sarai sempre in piedi. Potrai provare a buttarti giù dall’ultimo piano di un palazzo, potrai tagliarti le vene, strapparti la carotide, avere un incidente d’auto. Morirai solo spiritualmente (ciò non vuol dire che non sarà doloroso), ma in pochi minuti tornerai a respirare, a camminare, a pensare a lei”
“Mi stai facendo tutto questo per lei?”
“Sto facendo tutto questo per te. E, sì, anche per lei. D’altronde tu sei una parte di lei e lei è una parte di te”
Il caos universale, delirio di colori e acque di altri pianeti, galassie siderali che si toccano e fanno l’amore, reazioni chimiche che si uniscono in un valzer tutto intorno a loro.
“Sai come può rompersi questa maledizione? Credendoci.”
Poi l’incubo (sogno) finì. Lui si svegliò dolcemente e istintivamente si guardò le mani. Erano le mani di sempre, lui era la persona di sempre, eppure dentro di lui sapeva che qualcosa era cambiato, che qualcosa stava cambiando.
Era passato del tempo da allora. I due si frequentavano spesso, a volte rimanendo fedeli all’amicizia, a volte tradendosi cercando uno spiraglio di luce dove poter cavalcare le acque di una cascata. Lei aveva ancora degli occhi bellissimi. E lui nei suoi occhi vedeva il proprio cuore e gli occhi della strega e ogni volta si diceva che era il momento di crescere, quello giusto e poi gli mancava il coraggio. Aveva ancora troppa umana paura per perdere quel battito, per perdere quegli occhi, per perdere quella mano stretta e a fatica lasciata durante una presentazione e uno scambio di nomi.
Ogni volta che la vedeva si sentiva un fallito e allora cominciava a camminare in mezzo alla strada, aspettando un’auto che lo prendesse in pieno. Bisogna morire un po’ dentro, si diceva, perché questo è il prezzo della dogana per diventare adulti. Si chiese se anche il suo cuore dovesse pagare la dogana per passare il confine del cuore di lei e si mise a ridere. No, non ridere. Sorrise di gusto.
“Ti amo”
L’aveva detto. Ora poteva crollare il mondo. Ora poteva succedere di tutto. Il suo cuore cominciò a battere forte, fortissimo, tu-tum-tu-tum-tu-tum, mio Dio, sta per esplodere!
Lei lo fissò e si preparò a rispondergli.
(“Stai crescendo. Questo vuol dire essere colpiti da una maledizione”)
(“Sai come può rompersi questa maledizione? Credendoci.”)
C’è un uomo in mezzo alla strada. È in piedi, tra le due corsie, testa bassa, non si muove. Porta abiti qualsiasi, presi a caso dall’armadio, senza particolari abbinamenti di colore. Una maglia, un paio di jeans tenuti fissi alla vita con una cintura nera, un paio di scarpe. Rimane immobile, aspettando che quello che desidera accada.