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Bolle di sapone

I racconti dalla Locanda alla Fine dei Mondi

Bolle di sapone

Ben era un ragazzo molto più sveglio rispetto ai ragazzi della sua età.
Sapeva di essere al limite delle sue forze ma nonostante tutto continuava a correre. Non poteva mollare ora, non dopo tutto quello che aveva già superato. Sapeva anche delle creature che stava schivando da giorni, e li immaginava ancora dietro di lui, con gli occhi e il cuore bramosi di una singola occasione per arrivare al prezioso oggetto che custodiva con estrema cura.
“Non mollare…”, diceva fra sé, “…Fallo per lui!” e mentre continuava a ripetere queste parole come un mantra, all’orizzonte si affacciava la fine del deserto di cristallo e l’inizio delle terre del suo Signore, un luogo dove sarebbe stato al sicuro.
Pervaso da un sorriso spontaneo, Ben sollevò il mantello nero, sporco e a brandelli per osservare la clessidra posta alla sinistra della sua cintola, anch’essa a secco di sabbia.
Il sorriso si trasforma in una smorfia, il mantra diventa un’imprecazione e Ben riparte più deciso di prima, sapendo di dover lottare anche con la natura beffarda del tempo per portare a termine la sua missione.
Superato il confine, si appoggia stremato accanto una quercia, cercando di riprendere fiato il più rapidamente possibile. Poi, istintivamente, controlla che l’oggetto sia ancora integro sbirciando l’interno della sua tracolla di pelle bianca, liscia e rotonda come il ventre di una donna incinta.
Dalla sacca, l’oggetto sembra grande come la luna piena scrutata dalla Terra, una palla calda, rotonda e soffice come una nuvola, simile ad una bolla di sapone.
“Ce la faremo…” gli sussurra Ben e proprio in quell’istante il suono duro e pesante di zoccoli annuncia una carrozza guidata da un tipo con guanti di pelle nera, lucida, che stringono redini di cuoio marrone e logore. Nell’aria, una voce calma esclama: “Siete in ritardo…Signorino!”
“Alfred!!” urla il ragazzo già aggrappato al nuovo mezzo di trasporto, “Corri!...Via!”
Giunto al castello, Ben si precipita nella sala fiorita, spalanca la porta senza nemmeno bussare e pronuncia a voce alta: “Eccolo mio Signore”. Poi un nodo si forma alla gola e continua con un tono più basso “È quasi ora ”.
“Grazie!” pronuncia il Lord con un timbro imperiale e poi con un sorriso tenero e dolce rivolto al suo piccolo servitore continua: “Resti con noi fino alla fine?”
Ben, che nel frattempo aveva già aperto la sacca e fatto fluttuare fuori il contenuto, fa sgorgare piccole lacrime dagli occhi e cercando di non lasciarlo comprendere al suo padrone, ma con il mento ancora tremolante, risponde: “Scusate mio Signore, non ci riesco” e scappa via facendo richiudere le porte dietro di sé.
La bolla di sapone fluttua nell’aria leggera e imprevedibile come una farfalla, fermandosi ad un soffio di distanza dal Lord che avvicina le sue labbra alla sfera sfiorandola appena con un timido bacio.
In un silenzioso “plop” l’involucro esplode liberando una sottile polverina color oro nell’aria che si espande in tanti piccoli granelli da sembrare tante stelle brillanti sospese a mezz’aria.
Sensazioni profonde, quasi aliene, percepite nove mesi per vita da ogni singola vita e scomparse poi in un ricordo custodito ad un livello di coscienza inaccessibile alla mente, pervadono l’intera stanza avvolgendo il Lord con la stessa intensità di un sogno innocente di un neonato ancora lontano dall’abbraccio del male.
Calore; fragilità; curiosità; sicurezza; il battito di due cuori all’unisono; la vibrazione che produce una voce familiare e rassicurante; la carezza di una mano delicata che ti sfiora, nonostante non ti tocchi, ogni volta che si accarezza il ventre; l’amore; l’affetto; il volto di un bambino che sta ancora per formarsi; il suo sorriso riflesso; i suoi occhioni grandi, ancora troppo piccoli per vedere; le dita unite che annaspano quasi per gioco nel liquido tiepido che le circonda; una qualche forma di pensiero priva della nostra logica ma con conoscenze che l’uomo non raggiungerà mai; sogni ancestrali nascosti e stimolati dal proprio patrimonio genetico…
E poi una fitta che attanaglia il cuore… il desiderio di vivere, la speranza di avere quell’unica possibilità di essere sé stessi, quel singolo e fragile appiglio al quale ti aggrappi, senza sapere che quello che sei non è mai stato e non si ripeterà mai più, e che viene reciso e gettato via insieme a te.
Un battito di ciglia e tutto ritorna come prima, mentre fuori, sulle mura del castello, sotto una luna straziante straziata dalle nuvole, un uomo che sta riponendo in tasca i suoi guanti, spiega ad un ragazzino, ancora scosso, il senso di quanto accaduto quella notte: “L’essenza stessa di ogni forma di vita ammazzata ancor prima di nascere reclama il diritto di poter scegliere, di poter vivere, di poter realizzarsi…anche solo per un istante”.

I commenti degli utenti di neilgaimania

Irek31-08-2006 alle 19:13

Innanzi tutto Benvenuto!
Mi è piaciuto molto il tuo racconto, ai miei occhi una miscela di atmosfera inquietante unita ad una "morale" da saper leggere tra le righe mentre Angoscia e Speranza danzano l'una contro l'altra come nei più reconditi riti dei guerrieri Inca.
Spero di leggere altre tue "chicche" al più presto

kiaretta07-08-2009 alle 15:43

stupendo davvero e il messaggio è molto bello!!!! Complimenti!

I dati del racconto

  • Racconto

    del 29-08-2006

  • Autore del racconto

    Straczynski

  • Il racconto è stato commentato

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    432462 volte

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