Altri passi dall’ingresso e la piccola folla si voltò ancora a guardare chi stesse entrando. Era un uomo dall’età indefinibile, con gli occhi mesti di chi ha visto troppo e una chitarra nella mano destra, con le corde e il legno consumati da troppe emozioni date e ricevute.
“Ecco che giunge il cantore delle Muse” disse Ariel, con voce emozionata. “Colui la cui voce si fa melodia è che è caro agli dei!”
“Suonatore Jones” disse Morfeo, inchinandosi davanti a lui. “Ti diamo il benvenuto”.
Il suonatore Jones rispose con un cenno degli occhi a quei ringraziamenti. Prese posto al tavolo, tra le due signore e cominciò a accordare la sua chitarra in silenzio.
“Suonaci qualcosa” disse Dorian Gray, senza perdere il suo tono sprezzante. “Magari Ilsa vuole sentire As Time Goes By”.
Il suonatore Jones rimase chino sul suo strumento, come se fosse un’apparizione provenuta da un altro mondo e non potesse sentire le parole che gli venivano rivolte. Fuori, la pioggia aumentò d’intensità, aiutata da un vento forte che la faceva mulinare nell’aria e la sbatteva a schizzi violenti contro le pareti di vetro.
“In un vortice di pioggia, gli altri vedevano tempesta…” mormorò la giovane istitutrice e poi si volse verso il suonatore.
“A me ricordava la gonna di Jenny in un ballo di tanti anni fa…” canticchiò Jones, a mezza voce, e senza alzare lo sguardo dalla sua chitarra.
Morfeo guardò la tempesta da cui quel vetro li separava e sospirò con tristezza. Avvolse la lunga veste per l’ultima volta attorno a sé e guardò gli altri seduti attorno al tavolo. Il suo sguardo percorse gli occhi dei suoi compagni, assorti, sprezzanti, preoccupati e speranzosi.
“Molto bene” disse Morfeo, con voce pacata. “Manca solo una persona a chiudere questo cerchio. E sta arrivando. Dopodiché noi torneremo in quel mondo dal quale siamo stati allontanati. Quel mondo che ci ha rifiutati perché diversi, perché ossessionati da qualcosa, perché immaturi… Ognuno di noi ha un motivo per tornare a far parte del mondo”.
“Per continuare a viverne la bellezza…” mormorò Dorian Gray, improvvisamente serio e malinconico.
“Per dire a Rick che quella battaglia la dobbiamo combattere assieme” fece Ilsa.
“Per curare un’ossessione…” disse Achab.
“Due… due ossessioni” lo interruppe l’istitutrice. “E chiedere perdono a due bambini che sono stati vittime della mia follia…”
“Per un fruscio di ragazza a un ballo, per un compagno ubriaco” continuò il suonatore Jones, alla sua chitarra.
Morfeo sorrise, poi riprese a parlare. “Io che sono il Signore dei Sogni” disse. “Io costruirò un ponte con colui che è il Signore della Luce. E così si uniranno le tenebre e la luce e noi, bloccati in questo limbo senza tempo né spazio, torneremo a ciò che ci è stato tolto! Alle passioni, alle emozioni, alla vita…”
L’istitutrice si ritrovò inconsapevolmente mano nella mano con Dorian Gray. “Rilassati! Stiamo per dare alle nostre vite un bel… giro di vite!” disse il dandy.
Morfeo guardò nel buio, oltre il tavolo, oltre la pallida luce di candela. “Vieni avanti” disse. “Vieni a noi, Ozymandias!”
Emerse dal buio, anch’egli vestito di bianco. Gli altri si sentirono abbagliati dalla sua presenza: un uomo maturo, dagli occhi carichi di vita, dal passo nobile e il portamento fiero.
“Io sono Ozymandias!” disse con voce potente. “Il Re dei Re! Mirate le mie opere, voi, o Potenti della Terra e disperatevi!”
Lo sguardo di Morfeo si aprì in un’occhiata carica di ammirazione, mentre Ozymandias, nome greco di Ramsete II, figlio del Sole, si avvicinava all’altro capo del tavolo. Tese la mano destra verso di lui, rivolgendogli contro il palmo. Un palmo bianco e sottile come una luna appena sorta. E Ozymandias ripeté il gesto, allungando il braccio verso di lui, volgendo il palmo di una mano salda e forte. E i loro sorrisi si unirono a quelli degli altri spettatori…
“Cosa cazzo sta succedendo qui?!” tuonò una voce isterica, accendendo all’improvviso la luce principale. Scoppiò il finimondo. Il tavolo fu gettato in terra e i membri di quella riunione notturna clandestina cominciarono a urlare e a accapigliarsi tra di loro. Le donne si accucciarono in terra, tenendosi la testa tra le mani. La nana corse verso la donna più matura e l’abbracciò come una madre. Il signore con la vestaglia nera si coprì gli occhi con le mani, urlando frasi sconnesse.
“Gli uomini in bianco!” strillava la ragazza giovane. “Gli uomini in bianco!”
La voce isterica apparteneva a Daniele Sarti, come riportava il tesserino di sorvegliante che gli ciondolava sul petto. Che in quel momento stava riflettendo di essere in un bel casino. Alle sue spalle si udirono dei passi di corsa e un giovane magrolino dall’aria poco sveglia, guardò quello spettacolo allucinante con gli occhi strabuzzati. Il suo tesserino riportava il nome di Carlo Lojano.
“Ma che succede?” fece Lojano, senza togliersi l’espressione stupita dalla faccia.
“Succede che dovremmo legarli ai loro letti questi qui!” borbottò Sarti. “Se solo non fossero tutti clienti importanti!”
Alle loro spalle giunse uno stuolo di inservienti, che guardarono con ulteriore stupore la scena. “Che aspettate?” urlò Sarti. “Forza, riportateli nelle loro stanze e controllate che non si siano presi un accidente! Uscire con questa pioggia! Sono proprio matti!”
“Meno male che ho visto il professor Bruneri uscire dalla porta di servizio…” osservò Lojano. “Chissà cosa avevano in mente di fare!”
“Se scappavano, si rideva” mormorò con timore Sarti, mentre gli inservienti tentavano di calmare i malati urlanti. “Oh, devo corrompere qualcuno o posso stare tranquillo che nessuno fiati col direttore domattina?”
Gli inservienti non risposero e Sarti lo prese per un sì. Avevano il loro bel daffare a separare gli uni dagli altri quel branco di malati mentali. Soltanto Michele Handleck, chitarrista di ex fama mondiale, si lasciò afferrare senza opporre resistenza. Venticinque anni di droghe lo avevano rincretinito a sufficienza, pensava Sarti. Così come sarebbe stato facile tranquillizzare Tullio Bruneri, archeologo, giunto nella loro casa di cura dopo la morte della moglie in uno scavo sul Nilo. O l’ex capitano Valerio Guerrazzi, che dopo tredici anni in marina, era andato a perdere la gamba destra in un incidente d’auto in cui erano morte la moglie e le due figlie. Erano personaggi di un certo livello, nei quali la discrezione era sopravvissuta alla follia.
Un problema più consistente poteva essere Valentina Maestro, attrice sensibile, troppo sensibile, un’isterica. Così come Marina Russo, una nana di 50 anni finiti, convinta ancora di essere una bambina. Ma nessuna delle due toccava i livelli di Elena Maria Bonistallo, che la famiglia aveva fatto sparire, dopo aver scoperto che il padre abusava di lei da quando aveva undici anni e che non si poteva toccare senza scatenare l’ira di Dio.
Sarti provò pena per il Dottor Davide Fiorenti, psicologo e grandissimo studioso dell’interpretazione dei sogni, che era stato il precedente direttore di quella clinica e la conosceva come le sue tasche. E qualche anno prima aveva finito col conoscerla troppo e esserne risucchiato. L’ultimo ad essere sedato fu Giulio Conti, figlio del noto onorevole, un violento che sfogava sugli altri pazienti e gli infermieri, anni di umiliazioni e cattiverie fattegli da chi non lo vedeva come una persona estremamente sensibile, come si definiva lui, ma come un banale ( e schifoso) frocio.
“Molto bene” disse Sarti, con compiacimento. “Adesso torniamo al dormitorio. Forse non mi perdo la fine del nuovo show della De Filippi!”
In onore di:
Neil Gaiman, che con Sandman ha dato nuova vita al fumetto e al mito di Morfeo.
William Shakespeare, la cui Ariel può finalmente volare nei cieli e nelle menti
Henry James e la sua istitutrice senza nome, che ancora aspetta di essere liberata.
Oscar Wilde, che ci ha dato Dorian Gray e un motivo per temere la bellezza.
Herman Melville, il suo capitano e la più bella ossessione del mondo: il mare.
Percy Bysshe Shelley, creatore di Ozymandias, che nel mare scelse di morire.
Ingrid Bergman e Ilsa, alle quali resterà sempre Parigi. E Casablanca.
Fabrizio De André, che in un vortice di polvere ha sempre visto qualcosa in più.